Pagina:Eneide (Caro).djvu/572

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[620-644] libro xi. 531

620Me, che son Turno, imbelle e vile appella;
Tu la cui dianzi sanguinosa destra
Pieni i campi di morti, e pieni i colli
Ha di trofei. Ma che non pruovi ancora
Questa tua gran virtù? Forse ch’avemo
625A cercar de’ nemici? Ecco d’intorno
Ci sono, e ’n su le porte. Andrem lor contra?
Che badi? ov’è la tua tanta prodezza?
Sempre è nel vento, sempre è ne la fuga
De la lingua e de’ piè? tu mi rinfacci
630Ch’io sia cacciato? tu, vituperoso,
Di dirlo osasti? e chi meritamente
Sarà che ’l dica? Oh! non s’è visto il Tebro
Fatto gonfio da me del frigio sangue?
Non s’è vista la casa e ’l seme tutto
635Spento d’Evandro, e gli Arcadi spogliati
D’armi e di vita? Io non fui già da Pandaro
Cacciato, nè da Bizia, nè da mille
Che in un dì vincitore a morte io diedi,
Circondato da loro e cinto e chiuso
640Da le lor mura. Nulla è ne la guerra
Più salute o speranza: al teucro duce,
A te, folle, al tuo capo, a le tue cose
Fa’ questo annunzio. E non tutto in soqquadro
Por con tanta paura, e tanta stima


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