Pagina:Eneide (Caro).djvu/644

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[970-994] libro xii. 603

970Il popol tutto: e fu che la reina,
Visto da lunge incontro a la cittade
Venire i Teucri, e già le faci e l’armi
Volar per entro, e più nulla sentendo
O vedendo de’ Rutuli o di Turno.
975Onde aita o speranza le venisse,
Si credè la meschina che già l’oste
Fosse sconfitto, e ’l genero caduto,
Ogni cosa in ruina. E presa e vinta
Da súbito dolore, alto gridando:
980Ah! ch’io la colpa, disse, io la cagione,
Io l’origine son di tanto male.
E dopo molto affliggersi e dolersi,
Già furïosa e di morir disposta
Il petto aprissi, e la purpurea vesta
985Si squarciò, si percosse, e de l’infame
Nodo il collo s’avvinse, e strangolossi.
     Udito il caso, la diletta figlia
I biondi crini e le rosate guance
Prima si lacerò, poscia la turba
990V’accorse de le donne, e di tumulto,
Di pianti, di stridori e d’ululati
La reggia tutta e la cittade empiessi.
Ognun si sgomentò. Latino, afflitto
994De la morte d’Amata e del periglio


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