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Pagina:Eneide (Caro).djvu/646

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[1020-1044] libro xii. 605

1020Di qua, Turno, di qua. Quinci la strada
Ne s’apre a la vittoria. Altri a difesa
Saran de la città. Se d’altra parte
Enea de’ tuoi fa strage, e tu da questa
Distruggi i suoi; chè non men gloria aremo,
1025E più sangue faremo. E Turno a lei:
O mia sorella! (chè mia suora certo
Sei tu) ben ti conobbi infin da l’ora
Che turbasti l’accordo, e che poi meco
Ne la battaglia entrasti. Or, benchè Dea,
1030Indarno mi t’ascondi. E chi dal cielo
Così qua giù ti manda a soffrir meco
Tante fatiche? A veder forse a morte
Gir tuo fratello? E che, misero! deggio
Far altro mai? qual mi si mostra altronde
1035O salute o speranza? Io stesso ho visto
Con gli occhi miei, lo mio nome chiamando,
Cadere il gran Murráno. E chi mi resta
Di lui più fido e piú caro compagno?
E ’l magnanimo Ufente anco è perito,
1040Credo, per non veder le mie vergogne:
E ’l corpo e le armi sue, lasso! in potere
Son de’ nemici. E soffrirò (chè questo
Sol ci mancava) di vedermi avanti
1044Aprir le mura, e ruinare i tetti


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