Pagina:Eneide (Caro).djvu/650

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[1120-1144] libro xii. 609

1120De la città di molto sangue il campo
Era già sparso e pien di dardi il cielo;
Alzò la mano, e con gran voce disse:
     State, Rutuli, a dietro; e voi, Latini,
Toglietevi da l’armi. Ogni fortuna,
1125Qual ch’ella sia di questa pugna, è mia.
A me la colpa, a me si dee la pena
Del vïolato accordo: a me per tutti
Pugnar debitamente si conviene.
     A questo dir di mezzo ognun si tolse,
1130Ognun si ritirò. Di Turno il nome
Enea sentendo, il cominciato assalto
Dismise e da le mura e da le torri
E da tutte l’imprese si ritrasse.
Per letizia esultò, terribilmente
1135Fremè, si rassettò, si vibrò tutto
Ne l’armi, e ’n sè medesmo si raccolse;
Quanto il grand’Ato, o ’l grand’Èrice a l’aura
Non sorge a pena, o ’l gran padre Appennino.
Allor che d’elci la fronzuta chioma
1140Per vento gli si crolla, e che di neve
Gioioso alteramente s’incappella.
I Rutuli, i Latini, i Teucri, e tutti
O ch’a la guardia o ch’a l’offesa in prima
1144Fosser de la muraglia, ognuno a gara


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