Pagina:Eneide (Caro).djvu/654

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[1220-1244] libro xii. 613

1220Da le vermiglie abbominate penne,
Se da veltro è cacciato o da molosso
Che correndo e latrando lo persegua,
Di qua di lui, di là del precipizio
Temendo e degli strali e degli agguati,
1225Fugge, rifugge, si travolge e torna
Per mille vie; nè dal feroce alano
È però meno atteso e men seguíto,
Che mai non l’abbandona: e già gli è presso
A bocca aperta, e già par che l’aggiunga,
1230E ’l prenda, e ’l tenga, e come se ’l tenesse,
Schiattisce, e ’l vento morde, e i denti inciocca.
     Allor le grida alzârsi, a cui le rupi
De’ monti e i laghi intorno rispondendo,
L’aria e ’l ciel tutto di tumulto empiero.
1235Mentre così fuggia Turno gridando
E rampognando i suoi, del proprio nome
Ciascun chiamava, e ’l suo brando chiedea.
     Enea da l’altra parte, minacciando
A tutti unitamente ed a qualunque
1240Di sovvenirlo e d’appressarlo osasse,
Che faria delle genti occisïone
Senza pietà, ch’a sacco, a ferro, a foco
Metteria la cittade e ’l regno tutto,
Sì com’era ferito, il seguitava.


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