Pagina:Eneide (Caro).djvu/662

Da Wikisource.
[1420-1444] libro xii. 621

1420Oppor mi posso io più? Già già mi tolgo
Di qui lontano. A che più spaventarmi?
Assai di téma, sventurato augello,
Nel tuo venir mi désti. E ben conosco
Ai segni del tuo canto e del tuo volo
1425Quel che m’apporti. E non punto m’inganna
Il severo precetto e ’l voler empio
Del superbo tonante. E questo è ’l pregio
De la verginità che mi ha rapita?
E perchè vita mi concesse eterna?
1430Perchè ’l morir mi tolse? Acciò morendo
Non finisse il mio duolo? acciò compagna
Gir non potessi al misero fratello?
Immortal io? Che valmi? E che mi puote
Ne l’immortalità parer soave
1435Senza il mio Turno? Or qual mi s’apre terra
Che seco mi riceva e mi rinchiugga
Tra l’ombre inferne: e non più ninfa e Dea
Ma sia mortale e morta? E così detto,
Grama e dolente, di ceruleo ammanto
1440Il capo si coverse. Indi correndo
Nel suo fiume gittossi, ove s’immerse
Infino al fondo, e ne mandò gemendo
In vece di sospir gorgogli a l’aura.
     Intanto il suo gran tèlo Enea vibrando


[874-887]