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50 capitolo ii


Occorre però tener presente che il concetto di «rapporto associativo fra sensazioni» è più generale di quello che abbiamo in vista di definire; sempre «la rispondenza delle sensazioni all’attesa voluta» costituisce il vero carattere del reale. Onde troviamo qui la definizione positiva della realtà.


Ma questo modo di presentare le cose urta a primo aspetto, non apparendo conforme alla loro ordinaria rappresentazione.

Si concepisce il reale, come qualcosa che sia fuori di noi, indipendentemente da ogni esperienza, e l’accordo fra certe condizioni subiettive e le sensazioni che ne seguono, come una prova della realtà, la quale tuttavia non cesserebbe di esistere di per sè stessa, se pur fosse rotta ogni comunicazione del nostro spirito col mondo esteriore.

Riflettendo però, come possa comprendersi un’esistenza di per se stessa, ci si avvede che l’espressione è vuota di senso, a meno che non si voglia significare l’impotenza della volontà a modificare le sensazioni che riferiamo al reale, senza mutare le condizioni a cui queste si riattaccano.


Abbiamo già avuto occasione di ricordare, come la filosofia moderna sia piena di questa grande controversia che tocca il cosidetto problema della realtà. Il nodo della difficoltà sta nella posizione del problema stesso. Se il reale viene preso in un modo trascendente, attribuendogli un significato di per sè, inteso come assoluto, si cade in un idealismo scettico, facendo sorgere innanzi ai nostri occhi il fantasma dell’inconoscibile. Ma se si respinge codesto significato trascendente, come vuoto di senso, ci si avvicina al fenomenismo di E. Mach, o alla interpretazione dell’idealismo del nostro G. Vailati, vedute in sostanza equivalenti. L’idealismo così interpretato non merita più neppure questo nome, perchè non include alcuna affermazione agnostica; non è una negativa del reale, ma (come dice il Vailati) una definizione di esso.

Tuttavia codesto atteggiamento del pensiero non toglie che il problema della realtà conservi un senso positivo, in quanto si tratti di «distinguere relativamente il reale dal non reale».

Per questo aspetto della questione (che fin dal principio delle nostre speculazioni ci apparve come fondamento necessario di ogni costruzione positiva), il nostro modo di definire il reale si distingue da quello del Mach, poichè il criterio del reale vien posto, non semplicemente nelle «sensazioni», ma nelle «sensazioni associate a certi atti volontarii».

D’altronde l’ufficio della volontà, in contrapposto alle rappresentazioni passive, emerge dalla Metafisica dello Schopenhauer, e sotto diversi aspetti viene riconosciuto nell’indirizzo empirico della filosofia inglese1.

  1. Conviene citare particolarmente Julius Pikler: «The psychology of the believe in objective existence». (Williams and Norgate, London, 1890); opera che mi fu segnalata dopo la pubblicazione della prima edizione di questo libro.