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corrente di pensiero che per insufficienza di cognizioni non potè svolgersi convenientemente nel passato1.

Mentre da ogni parte si è tratti allo studio della cellula, cui mettono capo i problemi della generazione e dello sviluppo istologico, si comprende che la ricerca positiva si volga ai più intimi caratteri anatomici del plasma, in ispecie degli elementi germinali, e tenti di associare queste distinzioni reali ai caratteri differenziali degli organismi che ne risultano.

Ma questa via non sembra condurre direttamente allo scopo; ed un esempio vale a chiarire la cosa.

Fra i più netti caratteri di diversità nella struttura delle cellule germinali, si palesa il numero dei cromosomi, o parti del nucleo distinguibili al microscopio.

Il numero suddetto è un carattere costante per ogni specie zoologica, mantenendosi immutato nella generazione per effetto della divisione riduttrice che precede la fecondazione. Or bene sembrerebbe a priori naturalissimo di cercare in quel numero quasi un segno del grado raggiunto nella filogenesi; ma un’osservazione elementare dei fatti ci mostra invece la sua scarsa importanza in rapporto ai caratteri della specie. Basta infatti notare come l’Ascaris megalocephala (a cui si riferiscono gli studii dei più elementari fenomeni embriogenici) presenti due varietà affatto simili, l’Ascaris univalens e la bivalens. La cellula germinale della prima contiene due cromosomi, mentre quella della seconda ne contiene quattro!

Se dunque si vuol riattaccare una spiegazione dei caratteri degli animali alla costituzione della loro cellula germinale, questa spiegazione non può essere domandata a ciò che si vede nella cellula stessa; ma occorre spingere l’ipotesi più innanzi, col rappresentarsi la costituzione cellulare nelle sue parti invisibili.

D’altronde i multiformi fenomeni, che si collegano al protoplasma in genere, già inducono a ritenerne la struttura come enormemente complessa.

La sola spiegazione dei movimenti del plasma ha suggerito a molti autori varie rappresentazioni fisiche e chimiche di esso; citiamo, fra le più recenti, quelle di Quincke e Bütschli (il quale ultimo costruisce una sostanza a struttura alveolare mediante un miscuglio d’olio in una soluzione di carbonato di potassa); quella di Berthold, che paragona il plasma ad una emulsione estremamente complessa in cui avvengono certi fenomeni osmotici e chimici; quella di Verworn che (per render conto della sua contrattilità) lo raffigura come composto di molecole suscettibili di passare per tre stati, ossigenandosi e decomponendosi bruscamente. Queste teorie ci mettono già

  1. Cfr. Ives Delage: «La structure du protoplasma et les théories sur l’hérédité, et les grands problèmes de la Biologie générale». Paris, C. Reinwald, 1895.