Pagina:Erodiano - Istoria dell'Imperio dopo Marco, De Romanis, 1821.djvu/173

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istoria libro iv. 169


l’impeto di quei barbari. I quali, a mille a mille saettando, e quelle aste sterminate vibrando, come usi sono d’in su’ cavalli o camelli che cavalcano armati di tutte armi, facean macello de’ romani. Questi però, potendo riuscire di appressargli, rendean loro la pariglia. Quindi, si vedendo premuti dalla folla de’ cavalli e camelli, fan vista di fuggire, e spargono il cammin corso di triboli ed altri ferramenti puntati, che dall’arena coperti e renduti invisibili, faceano sterminio di cavalli e camelli, e di quanti sopra loro combattevano. Imperocché i cavalli, calcando i suoi piedi in su quelle punte, ed in ispezie i camelli che han unghie tenerissime, davan continue stramazzate, e scavalcavano il barbaro. Il quale quando è a cavallo o su’ camelli è combattitor ferocissimo, ma scavalcato o smontatone, incodardisce e si dà per prigione, non osando venire alle mani: e, impedito dalla zimarra che gl’ingombra le calcagna, nè di fuggire nè di dar dietro ha potere. Si combattè due intieri giorni dal levar del sole sino a sera, e le notti dividendoli, tornavan ciascuno a’ quartieri con segni di vittoria. Il terzo giorno si affrontarono in certa pianura. I barbari, prevalendo di numero, faceano forza di circuire i romani, e ad ogni lato serrargli. I romani all’incontro, non addensandosi, ma dando una più estesa fronte