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76 ESPERIEN. INT. AGL’INSETTI

scorpione di sua spontanea volontà fece due altre ferite, ed il piccione, passato lo spazio d’un’ora, cominciò a soffrir certi moti convulsivi; quindi, come gli altri due, intirizzò le gambe e le cosce, e a diciott’ore si morì. Non morì già un altro, che fu ferito alle quindici ore della stessa mattina, e nè meno morì il terzo, che fu ferito cinqu’ore dopo del secondo. Perlochè volli lasciar ripigliar forze allo scorpione, ed in questo mentre osservai che que’ piccion grossi, che erano morti, non aveano enfiato nè livido veruno nel luogo delle ferite, e le viscere loro non eran punto mutate dallo stato naturale. Il sangue solamente si era mantenuto liquido in tutte le vene, e di esso sangue pur liquido n’era corsa e ritiratasi una gran quantità ne i ventricoli del cuore, il quale perciò appariva molto tumido e gonfio, senza però essersi cangiato nè punto nè poco dal solito suo natural colore.

Sapendo io per certezza infallibile e mille volte provata e riprovata che gli animali fatti morire col morso della vipera e col veleno terribilissimo del tabacco si posson sicuramente mangiare, donai questi piccioni avvelenati dallo scorpione ad un pover’uomo, a cui parve di toccare il cielo col dito, e se gli trangugiò saporitissimamente, e gli fecero il buon prò.