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libro secondo 127

XXIX

A Fille

La pace

(1788)

     — Fille, perdonami: non son spergiuro,
Ti appressa... Ascoltami... Perché t’arresti?...
Cara, non piangere; son tuo: per questi
baci lo giuro.

     Pria s’apra vindice sotto il mio piede
il suol, mi fulmini Giove sdegnato,
ch’io sia volubile, ch’io manchi, ingrato,
la data fede.

     Te, amante e docile, solo desia
la mente, additami te sola il cuore;
per te famelica langue d’amore
l’anima mia.

     La mano stringimi pietosa al petto:
come ardo e palpito senti; e, se puoi,
crudele, immemore de’ baci tuoi,
cangia d’affetto.

     Che un altro, ahi barbaro! morda e consumi
quelle sempre umide labbra soavi;
che il sen di lividi solchi ed aggravi
di pianto i lumi;

     i veli laceri, sparse le chiome,
nell’alte smanie del duol piú fiero:
allor ripetere t’udrò, lo spero,
Nice, il mio nome.