Pagina:Fantoni, Giovanni – Poesie, 1913 – BEIC 1817699.djvu/329

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idilli 323

su l’ali fosche discoprendo vanno,
con la tremula face indagatrice,
35l’opre d’amore ed i notturni furti;
mentre dei sonni altrui vigil custode,
onor dei campi, la superba fronte
il papavero inalza, e all’inquieto
ondeggiare dell’aura le insolenti
40par che, lento incurvandosi, minacci.
Solo nel curvo sen di oscura grotta,
che sul fiume pendente erge la vetta,
cinta di neri lecci e d’edra intorta,
giunger non puote dei languenti raggi
45la moribonda forza; e l’onda, schiva
di lambirle, le piante, altrove torce
sdegnosa il flutto; e l’infeconda arena,
sparsa di ghiaia, da lontan biancheggia.
Tempo giá fu che, ove la rupe sorge,
50devoto altar sorgea, che, a Cinzia sacro,
circondava di lecci amica selva,
da cui pendeano di ferine pelli
e di teschi di lupi offerti voti.
Pastor non v’era, che scoccasse dardo
55con l’agitato braccio, o che vibrasse
la tesa corda del pieghevol arco,
o con il ferro alle sagaci volpi
tendesse insidie, che di Cinzia al nume
non consacrasse la fatica e l’armi.
60Sul sacro bosco col fecondo e vivo
raggio sedea la diva, e dei pastori
accoglieva la speme, e piú lucente
l’ara spargeva di propizia luce.
Biondo il crin, roseo il labbro e sparso il mento
65della prima lanugine degli anni,
Ellera amava, di Lirino figlia,
prole di Miri, il giovinetto Egisto;
e nemico del suon, che, insiem con l’alba,
invita i cani e i cacciatori al monte,
70su l’altare di lei giammai non sciolse
candida prece, né con picee faci
lustrò devoto l’ara, o fe’ palese