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Pagina:Fantoni, Giovanni – Poesie, 1913 – BEIC 1817699.djvu/344

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338 idilli


15
     Che appresi a saper mai, se non che sono
nato per esser tristo ed infelice?
che per quei pochi di che diemmi in dono,
mio malgrado, natura, a me non lice
sperar, se nell’inganno ognor non vivo,
viver d’affanno e di tormento privo?
16
     Barbara veritá, qualor le bende
tu togli alla ragion, qual vuoto immenso
in sé il cor non ritrova! In te si rende
alle carezze altrui sordo ogni senso,
l’amato errore in te si perde e muore,
sterile avanzo di un fatal languore.
17
     Ove, o piaceri che godea, fuggiste,
quando ignoto a se stesso ancor vivea?
Vi chiamo invano: al rapitor rapiste,
per mancarne di piú, quello che avea
disingannato ricercando, ahi stolto!
Perdetti il poco e non rinvenni il molto.
18
     Infelice mortal! lo scherno sei
di te stesso, degli altri e della sorte.
Ali! perché mai darci la vita, o dèi,
se ci negate poi cercar la morte? —
Disse, piangendo; e, giá fuggito il giorno,
alla capanna sua fece ritorno.