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Pagina:Fantoni, Giovanni – Poesie, 1913 – BEIC 1817699.djvu/358

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352 sciolti

e apprenderai da quei soavi moti,
30che mi desta del cuor la rimembranza
degli altrui benefíci, ad esser grato;
e intanto, al suon della mia voce e al vivo
articolar de’ misurati accenti,
s’avvezzeranno le crescenti fibre
35a rispettare quel pietoso istinto,
che natura e virtú spirano in petto.
     Fino dai giorni, in cui si trema al bieco
torcer dei sguardi di un venal Chirone
dal braccio armato d’implacabil sferza,
40eri, Carlo, il mio amico. Ancor pendea
per me su l’ali il dodicesim’anno,
quando mi vide al fianco tuo gli alpestri
varcar gioghi del Lazio l’Aniene,
precipitoso crollator di sassi.
45Teco m’accolse la superba Roma
dal purpureo senato, e dietro l'orme
dei passi tuoi, nelle latine scuole,
libai la tazza degli achei precetti.
Mentre anelava ad emularti, il saggio
50eroe, cui tanto nei pensier somigli,
ti ricondusse alle paterne mura,
ove l’amor delle commesse genti
affrettava, coi voti, il tuo ritorno.
Io vissi ancor tre primavere in grembo
55alla madre del mondo: il grande, il giusto
Clemente, allor sul combattuto soglio
sedea di Piero, e il prisco onor rendea
del Vaticano alle gemmate chiavi
e all’avvilito timido triregno.
60Cedeano l’ire dei placati regi,
ridea la Chiesa, la Discordia in ceppi
piangea, guatando di Loyola i figli,
pallidi all’ombra del vicino occidio;
ed i genii di pace al sacro tempio
65sul venerato altar recavan palme
in riva còlte del guerriero Tago,
del Sebeto, dell’Ebro e della Senna.
L’altrui consiglio e ’l giovanil desio