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DI LUCANO LIB. I 29

E fin dell'orsa i popoli feroci
Dal sen divelti dalla Patria, e Roma
590Posta in soqquadro. Sì temendo ognuno
Forza accresce alla fama, e senza autore
Delle sventure lor temon i sogni;
Nè sol da vano orror compreso e scosso
Palpita il volgo; ma la Curia, e fino
595Fuor sbalzaron dai seggi i Padri istessi,
E fuggitivo ai Consoli il Senato
Di guerra impose l'odioso incarco.
Allor dubbiosi nell'incerto affetto
Di difesa e di fuga, ove gli spinge
600L'impeto del fuggir, il volgo seco
Traggon precipitosi, e fuor se'n vanno
Le legion confuse in lunga schiera.
Tu crederesti che serpeggi intorno
Il fuoco struggitor, o che già scosse
605Da rovinoso turbin vacillanti
Scoscendano le case. Allor la turba,
Come se non splendesse altra speranza
Nel rovinío, che gir di Roma in bando,
Per la città precipitosa e folle
610Erra senza consiglio; appunto come
Quando il Libico mar Austro scompiglia,
E s'ode già delle velate antenne
Scrosciar l'infranta mole, in mezzo ai flutti
Il timoniere ed il nocchier si lancia,
615E non disciolta la compago ancora
Del fluttuante legno, ognun si finge
Il naufragio vicino. In simil guisa
Abbandonata la città, fuggendo
Alla guerra si move: il vecchio padre,
620Ne la dolce consorte, o i patrj Lari
Col pianto trattener, e colla speme