Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/109

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parte prima. 101

non le ponessi innanzi il mio libro de’ ricordi. Mi conceda un grazioso segno della sua benevolenza.

Mefistofele. Con tutto ’l cuore. (Scrive, e rende il libro.)

Lo Scolaro legge. Eritis sicut Deus, scientes bonum et malum. (Egli chiude rispettosamente il libro e s’accomiata.)

Mefistofele. Segui solo l’antico detto di mio avolo il Serpente, e verrà giorno che il tuo voler somigliare a Dio non ti angoscerà poco.

FAUSTO entra.

Fausto. Dove vassi ora?

Mefistofele. Dove li aggrada. Visiteremo prima il piccolo mondo, indi il gran mondo. O, quanto ha a riuscirti delizioso questo folleggiare in qua e in là!

Fausto. Oimè! con la mia lunga barba, io non ho nè destrezza nè arte del vivere. Vedrai che mi andrà ogni cosa al rovescio. Io non seppi mai accomodarmi al mondo, e nell’altrui presenza mi sento così da poco, ch’io sarò continuamente intricato.

Mefistofele. Mio buon amico, non li dare fastidio di ciò, chè tutto acquisterai coll’uso degli uomini. Fa di avere fiducia in te, e tosto avrai l’arte del vivere.

Fausto. Or bene, come ci mettiam noi in cammino? Hai tu carrozza e cavalli? hai tu servitori?

Mefistofele. Non abbiamo che a spiegare questo mantello, e ci porterà rapidi per l’aria. Nè tu pensi già in tale rischioso volo prender teco gran far-