Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/111

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parte prima. 103

Frosch. Le strozze sono accordate. (Canta.)

       Sacro romano impero
       Che mai sarà di te?

Brander. Poh! che brutta canzone! oibò! una canzone politica! una noiosissima canzone. Ringraziate ogni mattina il Signore che non avete a darvi briga del sacro romano impero. Per me non mi reputo poco fortunato ch’io non sia nè imperatore nè cancelliere. E nullameno noi pure non possiamo far senza un capo, e ci bisogna eleggerci un papa. Voi sapete quale specialità dia il tratto alla bilancia, e balzi l’uomo su la santa sede.

Frosch canta.

   Ser rosignuolo, vola e di al mio bene
   Ch’io lo saluto; digli le mie pene.

Siebel. Al tuo bene non un sol saluto; non vo’ udirne parlare.

Frosch. Al mio bene saluti e baci; tu non me ne impedirai. (Canta.)

   Su ’l chiavistello! è buio d’ogni intorno!
   Su ’l chiavistello! veglia l’amoroso.
   Giù ’l chiavistello! allo spuntar del giorno.

Siebel. Sì, canta canta a tua voglia, ed amala e lodala! chè tu non tarderai a darmi di che ridere. Ell’ha uccellato me, e farà a te quel medesimo. Io le desidero per amante un folletto; il quale può sollazzarsi seco sur un crocicchio. Un vecchio caprone, quando vien giù dal Blochsberga, può nel suo galoppo darle incontro di cozzo e belarle la buona notte. Un bello e ben creato giovane è troppo buon boccone per simile zitella; io non ho altro saluto da darle, fuorchè sassate nei vetri.