Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/258

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vanno e tornano giusta il tuo beneplacito. I mostri marini s’accalcano per contemplare lo spettacolo nuovo, incantevole; e van di sè intrecciando una siepe, e niuno più vale ad entrarvi. Lottano colà i dragoni chiazzati di vari colori, e colle squame dorate: il pesce cane guaisce e latra, e tu nelle fauci di lui ghigni al sicuro. Per quanti spettacoli ti venisse fatto di scorgere nella incantata tua reggia, mai non ti si parò dinanzi una calca simile a quella. Nė darti a credere che di gradevoli oggetti vadano povere quelle scene; chè le Nereidi curiose traggono da vicino al magnifico palagio eretto in seno all’eterna freschezza delle acque; le più giovani, timide e salaci sembianti a’ pesci, prudenti le altre: e già Tetide è a giorno di ogni cosa, e sporge al novello Peleo la tornita mano e le coralline sue labbra, e dágli un seggio nella reggia immortale d’Olimpo.

L’Imperatore. Per ciò che riguarda gli spazi aerei, te la passo; imperocchè molto non ci va a levarsi grado a grado fin colassù.

Mefistofele. E la terra? tu l’hai nel pugno, eccelso monarca!

L’Imperatore. Qual rara ventura ti ha qui tratto di balzo dalle Mille e una notte? Se tu agguagli in larghezza Scheherazade, vo’ che sia tuo il più grande fra’ miei favori. Tienti ognor pronto, se mai accada che il mondo monotono mi venga in uggia, siccome intervienmi ad ogni poco.

Il Maresciallo, correndo tutto affannato. Grazioso monarca, non mi passò mai per la mente ch’io avessi in mia vita a riferirti un avvenimento fausto per guisa, che tutto mi fa gongolare, e mi trae fuori