Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/314

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306 fausto.

      Che in terra, e sovra — l’onde spomose
    Non altro d’ogni — parte si miri
    Che il mover libero — di grazïose
    Forme che déstino — plausi e desiri!

Mefistofele. Oh! vedi come le sono gaie codeste novelle invenzioni: un suono di laringe o di corda che s’incontri oscillando con altri suoni. Il balletto grottesco non fa per altro in me breccia alcuna; tutt’al più mi titilla un pocolino gli orecchi, ma non va sino al cuore.

Le Sfingi. Che vai tu parlando di cuore? In verità che una vescica di cuoio aggrinzato si confarebbe meglio al tuo grifo.

Fausto inoltrandosi. Oh meraviglia! Lo spettacolo mi riesce a seconda; in ciò ch’evvi di ributtante, fattezze grandi e sentite! io ho bene di che ripromettermi un destino prospero e felice. Or dove mai mi trasporta questo colpo d’occhio magnifico e sublime? (Additando le Sfingi) Dinanzi a costoro trovossi un giorno Edipo; (segna le Sirene) in faccia a quelle fu Ulisse veduto contorcersi avvinto da forte canape; (mostra le Formiche) la razza loro seppe già accumulare i più rari tesori; (accenna i Grifoni) furono i lor pari non poco abili a custodirli con fedeltà e scevri da rimproccio. Già sentomi compreso da spirito maschio ed ardito. Oh! grandi sembianze! Oh! memorie oltre ogni dire famose!

Mefistofele. In altro tempo ti sarieno venute meno in bocca le imprecazioni cui avresti voluto lanciare contra cosiffatta genia; ed oggi vi ti acconci benone. La va pe’ suoi piedi; quando vassi in cerca dell’innamorata, gl’istessi mostri ne hanno il benvenuto.