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424 | fausto. |
romoreggiava, e gittate buone radici, scoppiò da ultimo, e il povero Imperatore, quegli che noi tempo fa divertimmo cotanto, si ritira in codesti luoghi, per attaccarvi forse l’ultima sua battaglia.
Fausto. Mi fa compassione, egli, buono, e schietto cotanto!
Mefistofele. Vieni, osserviamo; chi vive non dee disperare. Se ne riuscisse cavarlo fuori da codesta stretta vallea! Salvisi questa fiata, e varrà per mille. Chi sa d’altronde com’abbiano i dadi a cadere? Gli torni amica fortuna, e non fia che gli manchino vassalli. (S’inerpicano sulla montagna di mezzo, e contemplano l’ordinarsi delle truppe nella valle. Uno strepito di tamburi e di musica militare fassi intendere dal basso.)
Mefistofele. La posizione, a quel che vedo, è ben presa; passiamo dalla loro parte, e la vittoria è sicura.
Fausto. Che deggio aspettarmi? Illusione, fantasmagoria, vuote e vane apparenze!
Mefistofele. Strattagemmi per vincere battaglie! Fàtti coraggio, ed abbi in mente la tua missione. Conservisi all’Imperatore il trono e lo Stato, e tu piega a terra il ginocchio, e ricevi a titolo di feudo un territorio senza confini.
Fausto. Quante cose hai già fatte in un attimo! Ebbene, vediamo, egli vince una battaglia.
Mefistofele. Non egli fia il vincitore, ma tu! Questa volta sei il generale in capo.
Fausto. Onoranza, per vero, che mi viene a buon diritto; comandare da qui donde non pur mi è dato d’intender molto?