Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/48

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40 prologo sul teatro.

cespo mi era presago di meravigliose fragranze; — quand’io coglieva gl’innumerevoli fiori profusi per ogni valle. Io non aveva nulla, e non pertanto io aveva a pieno; perchè io avevo l’amore infaticabile del vero e la soavità dell’illusione. Rendimi il mio selvaggio talento; l’affannata felicità, la forza dell’odio e l’impeto dell’amore, — rendimi la mia giovinezza.

Il Faceto. Della giovinezza, mio buon amico, tu avresti veramente bisogno, se tu fossi d’ogni intorno incalzato dal nemico in battaglia; se la corona, premio della rapida corsa, ti accennasse di lontano la meta o, se, dopo l’impeto vertiginoso della danza, tu dovessi tutta notte gozzovigliare. Ma toccare con lena e leggiadria le docili corde; muovere con piacevole errore verso un segno postoci innanzi da noi a diletto, quest’è, miei dolci vecchi, l’ufficio vostro, e non pertanto noi non vi onoriam meno. Chè la vecchiaja non ci ritorna, come suol dirsi, fanciulli, ma ben ci fa rigodere veramente della fanciullezza.

Il Direttore. Orsù, non più parole, ma fatti; chè mentre voi ve la passate. in complimenti, puossi far cosa profittevole. Che rilevano i tanti cicalecci di quel che si richiede a ben poetare? Nessun fervido estro agiterà mai il petto degli irresoluti; e poichè volete pur dirvi poeti, vi è d’uopo avere la poesia ai cenni vostri. Ormai vi è noto quello che ne bisogna: noi vogliamo ber forte, però mesceteci conforme la voglia, e tosto! Ciò che non si toglie a far oggi non è fatto domani, e mandare in lungo è rare volte da savio. L’uomo risoluto piglia di tratto