Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/523

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Questa terza parte serve, giusta il pensiero di Goethe, di complemento alle altre due; ed anzi che un libro, è un’appendice. In fatti, questi frammenti, composti a più riprese, si rannodano ciascuno a qualche scena importante della grand’opera cui servono di sviluppo e di commento. Sotto questo rapporto i lettori assennati ne sapranno buon grado di avere scoperto questi Paralipomeni, che sono le ultime parole di Goethe sul Fausto, e de’ quali s’era fino ad ora ignorata persino l’esistenza. Un tale spirito di concatenazione e di ordine, una tale perseveranza immutabile nell’idea — che sono le prerogative eminenti del genio di Goethe, — raggiunsero, come tutti sanno, l’ultimo loro termine colla creazione del poema di Fausto, ossia di quell’opera di Goethe alla quale ebbe lavorato per l’intera sua vita. Trattandosi di Fausto, non è mai che tengasi Goethe soddisfatto e contento: e ne fanno piena fede codesti frammenti aggiunti, codeste idee riempitive, codeste note scritte colla matita nel margine di una scena. È da osservare l’ulteriore sviluppo dato al carattere di Mefistofele, di quel personaggio cui l’Autore si piace di ritoccare ognor più; e quella frase dove il diavolo termina coll’arrossire di sè medesimo, e col disapprovarsi in quanto egli è lo Spirito del male. Chiameremo inoltre l’attenzione del lettore sulla scena della Conferenza, schizzo nel quale la vita universitaria d’Alemagna è pennelleggiata a grandi tratti; e su quell’altra della fantastica decollazione di Margherita sul