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favole per i re d’oggi 125

n’hai ben donde, Italia mia», un interessantissimo quadro rappresentante la grande manifestazione umanitaria che corse l’Italia al grido di «Viva Menelik!» nel 1896, il campanile di Pisa in alabastro, la muffa della prigione di Beatrice Cenci, un pelo della barba del famosissimo capo della terribile camorra napoletana (pelo rimasto in mano ad una guardia venuta con lui a diverbio per questione d’amore), uno dei molti fogli strappati da Pier Capponi fiorentino, la coda della lupa che aveva allattato Romolo e Remo, e più di diecimila altre curiosità purtroppo autentiche.

La scimmia, infaticabile, batteva sopra tutte queste meraviglie con la sua bacchetta, man mano che le spiegava al pubblico intento; anzi, solleticata dal successo, volle anche cavar fuori una certa aquila che il padrone aveva chiuso a chiave in un armadio, e mostrandola dritta sopra una gruccia come una civetta, e dandole una buona bacchettata sulla groppa polverosa, gridò:

— Ecco, signori, la famosa aquila che mangiava a tavola col grande imperatore Giulio Cesare, il padrone del mondo!!!

— Ooooh! — fecero in coro tutte le bestie estatiche.

— Ah! è lei! — esclamò melodrammaticamente il gallo: — Io la riconosco! È stata mia amante: l’ho abbandonata, ed essa ne è morta di dolore!

— Mooolto interessante! — ruggì il leone guardandola attentamente col suo monocolo, come se la volesse comprare.

— Aquila imperialis, storia antica! — definì il serpente chiudendo gli occhi con molta gravità.

— Impagliata? — domandò con garbo il leone.

— Impagliata! Impagliata — Diavolo mai! — si