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favole per i re d’oggi 135

loro frutti ancora acerbi, tra i lamenti di qualche vecchio usignolo fedele.

Le radici avevano ben altro da fare che veder questo scempio e udir questi pianti: incitate a parole e a morsi da quegli strani bruchi, brancolavano come ciechi briachi cercando invano sottoterra le promesse mani sorelle da stringere in un macabro patto di distruzione.

Ma ecco le prime bufere di settembre. Odor di battaglie nell’aria!

Quello che i pianti de’ rosignoli non avevan potuto fare, fecero bensì i primi sinistri schianti de’ rami seccati.

Le brancolanti disperse radici ebbero un brivido interminabile. Si ricordarono a un tratto di certe notti lontane passate tutte in un unico disperato sforzo di battaglia, aggrappate alla terra con mille mani, le membra tese dai disperati contorcimenti del tronco, tese fin quasi a lacerarsi.

Bastò: perchè tutte si dimenticassero a un tratto dei porci e dei bruchi, e s’accingessero, gonfie di furore, alla nuova pugna.

Le solite radici curiose s’affacciarono ancora una volta tra l’erbe per vedere, ma poco mancò non rimanessero secche dalla maraviglia e dal dispetto; mentre la povera quercia loro era ridotta da far pietà, l’altre nel frattempo eran cresciute in alto e in largo e facevano al vento un rumore minaccioso squassando i loro rami stracarichi di foglie e di frutti, superbe del loro rigoglio e della loro cresciura potenza.

— Per dio! Siamo state giocate! — dissero le buone radici, quando seppero di questo fatto. — Siamo state le sole di tutto il querceto a prendere sul serio le chiacchiere di quegli arrabbiati vermi!