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76 ercole luigi morselli

XXXIX.


LA FURBERIA


Non poteva esser nel mondo più gran corbellone di Menico. Era così arida la sua zucca che per quanto grandi glie le dessero a bere, ei le beveva sempre.

E tutti nel contado lo chiamavano a nome e si prendevano gioco di lui.

Ora venne su quella terra il castigo della siccità, e le messi nel campicel di Menico giacevano arsicciate che facevan piangere a vederle. Un cipresso di cent’anni che si sentiva venir meno dalla sete, lì nel mezzo di quell’arsura, sapendo anche lui con che razza di baggiano avea che fare, ne pensò una di molto grossa e poi lo chiamò e glie la disse: — Senti Menico; io saprei la maniera di cavarti da questa miseria e di far crepar d’invidia tutti i tuoi nemici. Se non mi sbaglio tra una quindicina di giorni è la luna piena. Quando la riman qui sopra a picco, s’io potessi arrivare a farla sternutare con la punta del mio pennacchio, ecco che tu avresti bagnate tutte queste messi e avresti pane per tutto l’inverno.... Ma bisogna ch’io cresca almeno tre braccia, se no non ci potrò arrivare. Per questo mettimi un po’ di concio d’attorno e dammi acqua più che tu puoi!... —