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132 il fiasco del maestro chieco

ballo, ma in fatto non aveva offerto che la sua direzione, la sua camera, la musica e l’acqua. Le provvigioni, i fiori, i fuochi d’artificio vennero, per cura della società di Comano, in parte da Comano, in parte da Trento, insieme a tre famelici musicanti, una pianista e due violinisti, che noi battezzammo Trinculo, Stefano e Calibano. Chieco ne elesse subito uno a suo gran tappezziere, un altro a suo gran facchino, il terzo a suo grande sottocuoco. Lavoravano come scimmioni goffi, istupiditi da quella novità di mestiere e di padrone, guardando costui con un comico sgomento, non osando ribellarsi nè sapendo se almeno fosse loro lecito di ridere.

— Tu non fai niente, brutto straccione — mi disse Chieco — ma stasera ti cambio nome, vestito e mestiere, ti sollevo a mio primo lustrascarpe e barcaiuolo. Ho