Pagina:Ferrero - Angelica, 1937.djvu/18

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xiv introduzione

vinezza così felice fino ad allora; e l’ombra più o meno densa, secondo i momenti, non si è mai più dissipata, fino all’ultimo giorno. E per me cominciò il tormento delle notti insonni. Avevo il diritto di sacrificarlo? Di lasciare Calibano strozzare Ariele? Dovevo pagare le mie gioie di padre con una palinodia, che avrebbe svalutata tutta la mia opera?

Un giorno, stanco di lottare con me stesso, imaginai una transazione. Dissi a Leo che noi dovevamo lottare contro un nemico che era in quel momento più forte di noi, ma che non sarebbe stato eterno. Occorreva guadagnar tempo. Leo aveva pubblicati i suoi primi articoli con uno pseudonimo, per discrezione: poiché non la sua persona, nè il suo ingegno, ma soltanto il suo nome era perseguitato, perchè non riprendere quello pseudonimo aspettando tempi migliori? Sarei stato molto contento se Leo avesse accettato la mia proposta. Lo vedo ancora — lo vedrò fino all’ultimo istante della mia vita, come se fosse oggi: senza esitare un secondo, tranquillamente, come se si trattasse della più insignificante delle questioni — e rischiava il suo avvenire su quelle parole — mi rispose:

«Ho avuto finora tutti i vantaggi del nome che porto. Non voglio sottrarmi ad alcuno dei suoi inconvenienti, se ce ne sono».

Ma l’asfissia procedeva implacabile. Per quanto forte e fiera fosse quest’anima delicata, ad un certo punto non ne potè più. Un giorno mi disse che non vedeva che uno scampo: rifugiarsi a Parigi, diventare scrittore francese. Una seconda volta l’amore dei suoi genitori fu straziato dall’atroce alternativa di due pericoli ugualmente spaventosi. Sapeva Leo che prova affrontava? Ma quale altro scampo gli restava per sfuggire alla diabolica soffocazione?