Pagina:Ferrero - Appunti sul metodo della Divina Commedia,1940.djvu/113

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o sui falsi pastori:

«Non ha Firenze tanti Lapi e Bindi,
Quante siffatte favole per anno
3In pergamo si gridan quinci e quindi;
Sì che le pecorelle che non sanno,
Tornan dal pasco pasciute di vento,
6E non le scusa non veder lor danno.»

Paradiso, XXIX, 103-108


non sono meno belle che le parti liriche dell’Inferno e del Purgatorio. E’ vero che a noi riescono, per lo spegnersi della religione cattolica, difficili a capirsi — ma probabilmente quelle parti liriche in cui sono descritti certi passaggi di sentimenti degni di Proust, riuscivano ai medievali altrettanto, se non più difficili.

E’ dunque solo mutato l’orientamento.

D’altronde era assurdo di fare un Paradiso che ricadesse, sia pure in modo imprevedibile, sotto il dominio dei sensi, e Dante lo sapeva:

«E avvegnachè quelle cose, per rispetto della verità assai poco sapere si possono, quello tanto che la umana ragione me vede ha più dilettazione che il molto e il certo delle cose, delle quali si giudica per lo senso.»

(Convito, Trattato 103)


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