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Stato-Dio poteva essere giustificata dalla grandezza straordinaria di Roma e dal meraviglioso destino che l’aspettava, il Machiavell ne fa la legge di tutti gli stati, grandi e piccoli, gloriosi ed oscuri. Ogni repubblichetta ed ogni principato doveva tentare di essere, quanto poteva, una piccola Roma, innamorata solo di sè stessa ed aspirante alla propria divinizzazione se non in cospetto dell’universo e dei posteri, almeno nella piccola cerchia in cui doveva vivere e operare.

Senonchè, così facendo, il Machiavell percorreva con un balzo formidabile quella che doveva essere la lenta evoluzione di tre secoli; e trascinava nel suo balzo anche Livio.

Senza dubbio, la concezione medioevale dello Stato e della storia che aveva avuto in S. Agostino il suo grande filosofo e che poneva in Dio il termine della perfezione dei singoli uomini come degli Stati, era al principio del secolo XVI molto indebolita. Se no, il Machiavelli sarebbe finito sul rogo.

A poco a poco i tempi si incamminavano di nuovo verso la concezione pagana dello Stato-Dio. Ma lentamente e non con la furia del Machiavelli, perchè le dottrine e le istituzioni medioevali, per quanto indebolite, erano abbastanza forti da resistere ancora ai più violenti attacchi dottrinali dei dialettici razionalisti.

D’altra parte, Tito Livio era lo storico della Repubblica; e con il Cinquecento incomincia dappertutto, ma in Italia particolarmente, la decadenza del-