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anche a pochi minuti di intervallo, tutte le volte che li rivediamo. Ogni nuovo incontro è come una rettifica, un riordinamento di tutti quei lineamenti, che si erano dissolti e scomposti nella nostra memoria.

Ma che vuol dire questa vaghezza e brumosità di immagini deliquescenti e gradevoli, se non che siamo rimasti come esclusi a guardare un oggetto che non c’è stato concesso di possedere? Si può dire che il bello naturale sia come Venere, che si ritrovava vergine dopo ogni notte di amore. Si può aggiungere che di fronte alla natura noi siamo come uno scolaro, che abbia sentito spiegare in gran fretta un teorema, di cui abbia intravisto come in un barlume il filo del ragionamento, ma di cui sappia il giorno dopo distinguere, tra le nebbie di una dimostrazione dimenticata, soltanto il titolo.

Rispetto agli oggetti della natura, noi possiamo servirci solamente di quella che gli psicologi chiamano «memoria bruta». Per questo dicevo che la natura ci appare come «un risultato dato», che possiamo conoscere come lo scolaro impara l’enunciazione di un teorema; che possiamo godere, come Marte godeva Venere, ritrovandola intatta ogni volta, ma che non ci sarà mai possibile di far nostra