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cui un pittore ha per così dire il diritto di raggiungere «l’infinito» che si è prefisso e’ gli impongono di non uscire mai dalle risorse di una tavolozza — teniamo conto cioè dei mezzi di cui si è servito il pittore e del fatto che non sono proporzionabili alla grandezza del fine.

Noi ammiriamo infatti, anche se ci appaiono ugualmente perfette, le opere di grande concezione più delle piccole, perchè tenendo conto dei mezzi che sono su per giù gli stessi per tutti, riconosciamo il valore delle difficoltà di cui ha trionfato un artista, che s’è posto un fine più alto.

«Tout jugement que l’on veut porter sur une oeuvre d’art, doit faire état, avant toute chose, des difficultés que son auteur s’est données» 1, ha scritto Paul Valéry.

Questo pensiero m’è sempre parso profondo; stabilisce nel giro di poche parole il grande principio di una critica, che non voglia soltanto misurare dei piccoli trionfi stilistici, ma che sappia tener conto, giudicando un’opera d’arte, della sua grandezza e del suo respiro. E questa è secondo me la critica più sapiente e quella più umana; perchè succede già che anche gli uomini ignari di estetica am-