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III


scrittori prezzolati a cantarne le gesta ». E leggiamo sotto un « 25 febbraio »: « Se la condizione generale di una letteratura è la libertà, la qualità più necessaria a uno scrittore è quella più esecrata da ogni regime di tirannia: il coraggio ». E allora noi sappiamo la sola data che conta: Leo scrisse quelle pagine sotto un regime di servaggio e di terrore di cui sentiva l’onta.

Così sappiamo che Leo osservava i danni della folle artificialità centralizzatrice del Fascismo — accentramento che pei dittatori è spionaggio e polizia, ma pei popoli è anemia mentale — quando accenna alla ricchezza intellettuale e all’indipendenza spirituale che era garantita all’Italia dai suoi centri provinciali. Questi, uniti nella comune cultura, difendevano il pensiero nazionale, colle loro tradizioni diverse, dalla schiavitù livellatrice di una consegna ufficiale.

Leo cercava la luce, aveva orrore del press’a poco, della menzogna. Era nato così. Ma in questo libro, il ribrezzo di Leo per i mantenuti della nostra letteratura, abilissimi a fare i mistici oggi e i pagani domani, gli anarchici ieri e i totalitari oggi, non gli impedisce di farci sentire soffusa, appena accennata — chè il vero amore di patria è pudico e silente — la sua commossa comprensione delle qualità segrete del nostro popolo, di quel popolo dalla civiltà finissima, come il suo « contadino toscano che motteggia quelli che parlan fuori regola ».

Gli è che se Leo vide adolescente le viltà e i tra-