Pagina:Ferrero - Meditazioni sull'Italia, 1939.djvu/43

Da Wikisource.
24 meditazioni sulla storia d’italia

cilmente che il cambiamento non avesse rimedio: riconobbero con troppa lucidità la loro debolezza. Questa chiaroveggenza, invece che eccitarli a resistere, li depresse. I partiti si sfasciarono, ciascun uomo trovandosi solo, diffidente degli altri non pensó più che a sè. Voltó casacca e cercó di sfruttare i nuovi regimi, che la sua stessa indifferenza contribuiva a mantenere. Gli artisti si orientarono d’istinto verso le arti plastiche e figurative in cui non si correva rischio di imbattersi in un’idea generale. Si misero al soldo dei Signori, li divertirono con delle barzellette, o tentarono di dare a questi governi, stabiliti sulla forza, l’appoggio di una teoria e una giustificazione ideale attinta alla storia antica.

Niente prova meglio questa degradazione dell’intelligenza, che la leggenda creata intorno a Tacito dai filosofi italiani del secolo XVII°. In questo quadro, destinato dal primo storico romantico a render eterna l’onta dell’Impero e a colpire la secreta nequizia degli Imperatori, gli scribi della Contro-Riforma ritagliano l’immagine d’un Principe modello che giustifichi la ragion di Stato. E come sono abili a conciliare le necessità di perpetrare un delitto per conservare un trono illegittimo e le leggi morali di Moise e di Gesù Cristo, lo Stato Dio dei latini e lo Stato, strumento di Dio, dei Cattolici!

«Ciascuno adotta volentieri i pareri altrui quando sono in favore di un’opinione che professa» diceva Montaigne,