E, come vive, le cime si cullano
Sotto il molle zeffiro;
Nè sai se il suono che nell’aria espandono
Sia rantolo o sospiro.
Ondeggiamenti di blande Nereidi,
Gesti da cortigiane,
Inchini di Elfi, o di chi al suol prosternasi
Per un tozzo di pane.
Neghi a quei rami un sentimento, un’anima,
Chi non nacque poeta!
Quegli non oda il sovrumano eloquio
Della natura queta;
Sia sordo alla eloquenza inenarrabile
Del grande Essere ignoto;
Non scorga il filo arcano, incomprensibile,
Che lega l’aria al loto!
Quegli, al tramonto, quando il cielo è incendio,
E van le avemarie.
Da campanile a campanil, dicendosi:
« Siam dell’àlme le spie!»