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nella freddezza della crisi. Un’ansia sospesa, ancora irreale, li teneva oppressi dolorosamente.

Lo scrittore non voleva pensare al dubbio feroce che lo rodeva: gli sembrava assurdo, impossibile. Ma il subcosciente, alle volte, gli suggeriva delle forme fantastiche di realtà, dove una solitudine, che gli faceva tanto male immaginare, aveva cerebralmente delle rispondenze fresche di libertà. Acrobazie complicate di sensazioni, senza uscita, che incatenavano il pensiero.

Ormai non potevano continuare così: Sona, spinta dalla pressione morbosa dell’amante, disfatta dall’angoscia morale, non riuscì a superare il proprio mutamento — gli parlò un pomeriggio, nel silenzio pesante della camera chiusa, con grande sincerità:

— «Non voglio essere accusata di cattiveria o di viltà. Tu sai che ci siamo uniti con entusiasmo, abbiamo vissuto con gioia la nostra ricchezza e la nostra miseria, ci siamo così compresi da formare un’unica base morale alle nostre personalità. Io non ò mai dubitato di te e fui sempre sincerissima nel mio sentimento. Posso dire di aver trascorso i mesi più belli e più felici della mia vita. Soltanto dieci giorni fa avrei trovato assurdo lo stato d’animo di oggi. Ti giuro che non ò fatto niente per provocarlo, che lo subisco come una potenza extraumana».

«Non credere che io ami un altro uomo: allora sarebbe veramente crudele la mia conformazione interiore. Ò amato te solo, intensamente, con tutte le mie possibilità intellettuali e materiali — forse