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I


— «Il bene che le voglio non è un bene sentimentale: io l’amo come un automobilista può amare i paracarri delle strade comunali — sapendo cioè che non rappresentano una soluzione decisiva nella sua vita, ma che gli dànno tuttavia un’impressione morale di sicurezza e di equilibrio».

La filosofia convinse Farro a recarsi ogni sera in Teatro, per ammirare nella complicazione romantica dei balletti russi, il corpo seducentissimo di Katja — prima danzatrice — snodata come un giunco — più morbida, più bianca, più sensuale del chiaro di luna.

Vibrava nell’atmosfera colorata delle luci e la magrezza leggerissima si dilatava in miracoli di nervi, meraviglie di forme, pazzie di femminilità.

Aveva l’ondeggiare pericoloso d’un ubriaco di musica — la velocità di un desiderio carnale — gli scatti delle macchine al traguardo.

Tutta la seduzione si riassumeva nei seni nudi: i seni tondi, duri, portentosi — che sembravano riflettori accecanti di voluttà, concentrazioni erotiche, campanelli elettrici dei sensi. Le pupille dei maschi assorbivano l’ardore bianco di quei seni: profumi densi, naufraganti che piegavano e saziavano i visi