Pagina:Fior di Sardegna (Racconti).djvu/136

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ste manine care! dicevamo dunque che andrai a confessarti e che dirai i tuoi peccatacci ad un estraneo. Perchè non ti confessi con me! Quali sono i tuoi peccati, figlia mia?

— Cominciamo dal principio! — rispose Lara sorridendo.

— Superbia?

— No, non sono superba! Vana od avara? Neppure! pigra? assai, assai...

— Ma che! Lascia che ti interroghi io, ora, Lara. Mi ami?

— Molto, molto!

— Mi sei fedele?

— Fedelissima.

— Sarai mia sposa?

— Sì!

— Mi amerai sempre?

— Sempre, sempre, sempre!

— Eccoti confessata! — concluse Massimo. — La penitenza è un bacio.

Lara la eseguì volentieri, ma intanto diceva: — E questa parodia della confessione non è un peccato? Se ci sentisse Iddio!

— Non può sentirci, Lara, perchè parliamo così sommesso!

— Eppoi, — aggiunse lei scherzando, — credo che Dio sia sordo, prima di tutto, perchè è molto vecchio, poi perchè io gli chiesi ginocchioni, fervorosamente, tante cose, e lui non mi esaudì giammai, sicchè come non sente le buone, non sentirà le cattive parole!

— E che cosa gli hai chiesto, a Dio, Lara mia?

— Ah, tante cose, tante cose! Ma torna inutile parlarne; le buone opere non si svelano mai, e la preghiera è una opera buona.

Qui Lara si mise a narrare la parabola del Pubblicano e del Fariseo, ma in verità, la condizionò in modo tale da sembrare una favola di Esopo. Inoltre non riuscì a trovarne la fine e confuse un versetto della Bibbia con quel passo di Shakespeare nell’«Enrico VIII.» che dice: «Voi avete i volti di angeli, ma il cielo conosce i vostri cuori!». — Massimo ne sorrise di cuore; invero la narra-