Pagina:Fior di Sardegna (Racconti).djvu/170

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nella chitarra scordata della sua mente, ma l’amore, pronto a coprire con le sue quella triste nota, non lasciavala arrivare sin al cuore. Marco pensava che, una volta sua, Lara avrebbe tutto obliato a furia di baci e di cure e affrettava coi voti il giorno desiato che si avvicinava. Le nozze erano fissate per gli ultimi di settembre. Lara preparava il corredo, preparava le mille cose necessarie per il novello stato della sua vita, ma intanto la febbre le rodeva il cervello, il dolore le consumava il sangue e l’esistenza. Per tre settimane non si avvide di nulla, non lesse nè cercò di leggere nel fondo tenebroso della sua anima. Credeva di amare il cugino e di odiare Massimo, si credeva forte, sana, felice all’idea di vendicarsi presto e in qualche modo diventando moglie di Ferragna. Che voluttà passare un giorno daccanto a Massimo, splendidamente vestita, bella nei veli da sposa, il volto raggiante felicità e vendetta, e schiacciarlo con uno sguardo di disprezzo, e dirgli con gli occhi: T’odio! non t’ho mai amato!... — Ma un giorno, in un momento di solitudine, in uno di quegli istanti psicologici difficili a spiegarsi, Lara scese in fondo alla sua anima e si accorse che moriva, che il suo corpo andava consumandosi, che tutta la sua energia era uno strana stampella che la sosteneva, ma che l’avrebbe ben tosto abbandonata, sola, distrutta, stesa sulla polvere dei suoi sogni perduti; delle illusioni svanite giorno per giorno nel cielo della sua fanciullezza. Si accorse che non amava Marco, che non poteva giammai amarlo, nè diventar sua, ma siccome odiava ancora Massimo, pensò ad un altro genere di vendetta. Abbandonarsi al suo destino, morire e lasciare al giovine il rimorso di averla uccisa. L’idea della morte si radicò talmente nel suo pensiero che finì persino col precisarne il tempo: agli ultimi di settembre, in una tiepida e gialla giornata di autunno, invece di andare a nozze con Marco, ella doveva morire. Il sogno delle notti d’inverno tornava alla sua povera anima dilaniata, dandole una calma e un ultimo sorriso da sepolcro. Un giorno Lara non potè levarsi da letto: non era malattia la sua, ma una stanchezza voluttuosa, invincibile, che la costringeva a restare immobile, immersa in un torpore vago, infinito. Fu un giorno di gioia per Lara. Dunque la morte arrivava