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Prefazione alla terza edizione 11

rissero, durante l’epidemia del 1855, oltre cinquecento persone. E in trent’anni le condizioni già pessime si sono aggravate: il putridume è aumentato: la noncuranza, la sporcizia arrivate all’estremo; tanto più che nessuno mai pensò a provvedere.

Allegavano già taluni che io avessi torto, facendomi l’avvocato di tante miserie. Le miserie non esistono, per cotesti ventri parlanti!

E il vero è tristo e nudo, nè comporta fronzoli o azzimature.

Si bofonchiava da personaggi che stanno molto in sul grande (e auguro ne abbian buone ragioni) che io mi fossi compiaciuto nell’architettare un romanzo e pretendessi le fole, uscite fuori svolazzando dal colombaio della fantasia, gabellare per verità. Ciò asserivano più alto quelli, che, per pochezza d’intelletto, o pusillanimità di animo nel trovare rimedii, non sanno sopportare la voce di uomini liberi, molesta sempre allorchè ai pasciuti, ai fortunati, ai soddisfatti, svela guai, i quali dimostrano come tutto nel mondo non vada a fil di sinopia: come certe formule per quanto sonore, certe pratiche, certe pompe, per quanto ridicole e solenni, non bastano a empire gli stomachi digiuni, a consolare terribili miserie.