Pagina:Flavia Steno - Cosi mi pare.djvu/289

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gono e chiudono la città dell'anima, la città del sogno, nel suo meraviglioso specchio verde, forse, contro il Subasio erto cupo e roccioso a salutarla alle spalle. Ma il cerchio mistico sa d incanto e di malia, o meglio, sa di miracolo continuato.

Ecco, il sole è sorto e la distesa pianura si ravviva in un sorriso composto di mite gioia serena, e le facciate delle case grigie, millenarie, sorgenti dalla macchia d’ulivi, raccolte presso il convento maggiore, acquistano dal suo bacio una parvenza di rinnovata giovinezza. Ancora il miracolo. Adesso le campane si chiamano con voci di letizia serena, si rispondono, si accordano, cantano insieme un sommesso canto dolcissimo, che dice la nostalgia della Patria lontana e ne acuisce il desiderio mistico. Uno stormo di augelli risponde trillando, rasenta rapido, in volo unito, le campane, si sparpaglia, dirada, scompare nell'azzurro. La visione è ancora francescana.

Ma laggiù, in mezzo alla pianura verde, si alza una leggera nuvola di fumo. L’incanto è rotto. Passa il treno trascinandosi dietro tutta la vita, quell'altra, lontana dal sogno quanto il regno dello spirito è lontano dalla terra.

E io riprendo il giornale: rientriamo nella vita.