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cendo — venga qua — gli prese il braccio, lo fece sedere in una delle sue poltroncine accostate per fianco al balcone sul mare, sedette egli stesso nell'altra e incominciò a parlargli della situazione. Riferì i suoi colloqui col ministro e coi presidenti delle due Camere, disse che sentiva di trovarsi di fronte all’atto più grave, probabilmente, della sua vita, che era atterrito dalla propria profonda perplessità; che sperava da Heribrand un giudizio, un consiglio sicuro, e che non aveva saputo aspettarlo fino all’indomani.

Il generale lo ascoltò impassibile e rispose semplicemente: — Sire, bisogna chiamare Lemmink.

Il Re si fece scuro in viso, tacque e, dopo un momento, alzatosi senza dir parola, si allontanò a lenti passi, andò a contemplare il fuoco del caminetto.

Anche il generale si alzò e, girata rapidamente con gli occhi la stanza, guardava, fermo al suo posto, il Sovrano. Il suo sguardo e l’alta, leale sua fronte avevano una singolare espressione di gravità e di severità.

— Lei non sa tutto — disse finalmente S. M., sempre pensieroso e senza guardare Heribrand. —