Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/143

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Alzando un giorno gli occhi a l’infinito
numer di turba il Re di gioie eterne,
lasciarla si dispon nel basso lito
perché non tanta in lei vertè discerne,
che possiane montando esser seguito
al poggio, ov’ha d’aprir le vene interne.
Chiama sol dunque i duodeci sul monte
ov’alte cose e degne fien lor cónte.
9
E che di pregio sian ad esser quelle,
l’uscir del volgo a l’erta è segno e nota;
e quivi di Moisé fra le piú belle
figure or questa apparve sciolta e nota,
quand’esso, col Motor de l’alte stelle
avendo a ragionar, lasciò rimota
nel piè di Sinai la gente ingrata,
poi crebbe in alto a tór la legge data.
10
Iesu giá su l’altezza, in atto umano
tutto suave, facile e gentile,
fermasi ad una pietra un poco aitano
piú di quel suo senato tanto umile;
cui fatto cenno di tacer con mano,
apri quell’alma voce a un grave stile,
quell’alma voce che giá ’l primo mondo
a un detto fece, or sciolse a lo secondo.
11
— Beati — dice — quei che volontaria
non han pur questa povertade esterna,
ma con maggior fortezza in tanto varia
e fragil vita ottengono l’interna!
Povero spirto è quello che non d’aria
va pregno e gonfio, ma nel cor s’interna
de l’umiltá. Però sol io revelo:
A questi sta l’imperio del Vangelo!