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Non t’ammirare, o schiatta circoncisa,
s’allora in ciò ti fui troppo suave !
Stando in Egitto di vii fante in guisa
prendesti! assai di loro usanze prave;
donde fu quella che la moglie uccisa
era per qual si fosse error men grave.
Ond’io, perché dal sangue t’astinessi,
quel tal ripudio un tempo ti concessi.
4 ‘
Io t’allattai con mille lusinghette
perch ’eri, e fosti, ed ora sei fanciulla;
non piú poltroneggiar ti si promette
nel sin d’ocio nutrita, e ne la culla
non sempre per te sola si dimette
a far quell ’util ben, che ’l manco annulla.
Ho che far altro e da chiamarne tanti:
se vuoi venir, ti vien’; se no, rimanti.
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Né di’ che sei la prima, e l’altre sprezzi,
l’altre mie nazion, che mie criai;
e s’hai perché te stessa avvaliti e prezzi,
non è per tuo ben far, perché noi fai;
anzi con tanta sicurtá t’avvezzi
bruttarmi gli occhi, e roscior non hai:
di che tua puzza vuol che di soprema
diletta mia figliola sii l’estrema.
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Simil è ’l regno mio del cielo al padre
de la famiglia, ch’esce a prima aurora,
che, avendo alcune viti sue leggiadre,
gli operator vi mette d’ora in ora,
perché la molle e d’ogni vizio madre
ociositá di molti l’addolora,
e, come vago de l’altrui guadagno,
condúcevi ad oprar piú d’un compagno.
T. Folengo, Opere italiane - li.
io