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Quel tuo, che nostro fai, celeste pane
imparti oggi fra noi, ché, similmente
come fra noi qua giú l’offese umane
ci dimittiamo, Tu, signor clemente,
dimetti a noi le nostre; e ’n quelle vane
lusinghe rie de l’infernal serpente
non ci vuoler indure; e se v’induci,
diffendi in noi di tua vertú le luci! —
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Ma che mercede conseguita unquanco
abbia verun dal ciel over perdono,
per nullo modo non pensate se anco
de Tonte altrui non fece prima duono.
Uom che tu se’, se non perdoni, manco
avrai pietoso Dio, eh’ è giusto e buono:
quinci le fronte altiere abbassa e spezza,
quindi Tumil’e basse inalza e prezza.
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Son anco di pietá sotto coperchio
non pochi mentitori del digiuno:
prendono il cibo e bevon di soverchio,
poscia vanno con volto afflitto e bruno
d’uomini entrando in questo e ’n quello cerchio,
ch’ognun per buoni, ognun per santi, ognuno
per degni mastri e satrapi gli additi
ch’ad alte imprese forano periti.
87
Tu, che da’ cibi e molto piú da’ lordi
costumi e sporche mende ti contieni,
lavati il viso, ungiti il capo, fuor di
quel van desio c’hai di scuoprire i beni:
di’ con la fronte agli uomini, eh’ ingordi
d’investigar son sempre gli altrui seni,
che pieno sei, che sazio, che pasciuto,
ma godi teco esser nel ciel veduto.