Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/18

Da Wikisource.

12
Odono appresso l’ importune rane
l’alto Asciar de la nemica loro;
fuggon quanto fuggir si può lontane,
dimesso il lor nugace consistono :
scende l’altiera a le fangose tane,
tutta d’argento in fuor che gli ocelli d’oro,
fa di lor strazio e gran presaglia tranne,
rempiendo il gozzo e le bramose canne.
13
Non meno il Re di gloria che per l’angue
fu figurato dal presago Mòse,
allor ch’a sanitá del volgo, esangue
per gli attoscati morsi, in gli occhi espose
squarciato il suo bel velo e sparso il sangue,
fattone bagno a macchie dispettose,
pon giú le spoglie, adornane la croce,
corre a l’inferno e favvi udir sua voce.
14
La voce che tonò da l’alto legno
consunto esser del Padre ornai l’ incarco,
fu orribil tanto al doloroso regno
che, giunto a pena de l’abisso al varco
e fattovi d’aprir le porte segno
per trarne la gran preda e uscirne carco,
cosi fiaccollo al suon di sue parole,
che far di mura il terremoto suole.
15
Fan gli atri spirti al nigro re concorso
ne l’apparir del fiammeggiante drago
ovver di quel gigante lieto al corso,
il qual, di rubar Palme a strada vago,
da morte morso a morte die’ di morso,
anzi l’uccise di vendetta pago,
e de’ ben vissi l’onorate squadre
trionfando condusse al sommo Padre.