Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/192

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Iesu risponde: — Or non v’è noto come
le pecore sol guardo d’Israelle?
— Non — disse quella, — non, Signor, ché ’l nome
sol tuo sperar mi fa ch’ancora quelle,
che non han legge, come bestie indome
o come senza guida pecorelle,
salvar venesti e le novantanove
lasci per una errante, acciò la trove.
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Se nasce il sole tuo, se la tua pioggia
generalmente sovra tutti nasce,
se nuota pesce in mar, se ’n aria poggia
veruno augel, se ’n terra armento pasce
non senza tuo volere, or in che foggia
esser può, Signor mio, che mai tu lasce
cura di riserbar qual uom si sia
o di Giudea o Grecia o Tartaria? —
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Risponde il Salvator: — Come star poscia
non so, che giusto sia me dar lo pane,
che racquistato s’ha con molta angoscia
per gli figliuoli cari, a un lordo cane! —
Allor la cananea tutta s’accoscia
distesa in terra e grida: — Né da mane
né da sera giamai verrá ch’io resti
di chiederti ch’aiuto in ciò mi presti!
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Ché se d’un popol duro, ingrato e cieco,
crudel, micidial cosi ti cale,
che ’l Tiro, l’Indo, l’Africano e ’l Greco
non vuoi gli sia de le tue grazie eguale,
né che comercio alcuno tenga seco,
perché ciò piace a te (né che sia male
questo tuo parteggiar è da pensarvi,
ché troppo a tua grandezza siamo parvi);