Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/219

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Né la cagion mancovvi punto allora
di sodisfarsi a pien, di farsi ’l reo;
ché, mentre indi si parte e non dimora,
vide sedersi un uomo al Teloneo,
un di que’ publicani che s’indora
d’altrui ricchezza e chiamasi Matteo.
Diedegli d’occhio il Salvatore accorto,
e con un guardo sol si l’ebbe morto.
65
Non che forza vi sia di basilisco,
ch’altrui debbia, guardando, tór di vita;
ma Cristo, che ’n mirar tutt’era visco
e ’n ragionar tutt’era calamita,
fe’ come uccellatoio ch’ai lentiseo
ed al ginebro l’augelletto invita,
che ’n cui lo strai de l’occhio suo volgea,
inort’egli al mondo subito cadea.
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Ecco Levi gentil ch’ai mondo visse
molt’anni né del ciel giamai gli calse:
ratto che gli occhi agli occhi santi affisse,
il raggio ardente lor portar non valse,
nudo il segui né amollo sol, ma scrisse,
per contraporsi a molte istorie false,
ciò che con man, con lumi e con udita
toccò, vide, senti d’amor, di vita.
67
Era di caritá si ornai salito
a quell’altezza ove salir potesse,
che non gli parve ancor d’aver seguito
colui che’ beni eterni gli promesse,
se degli suoi compagni convertito
a lui gran numer seco non avesse;
ché, s’utilmente l’uomo a l’uomo nasce,
via piú questo dé’ far chi ’n Dio rinasce.