Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/121

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Scopresi, oh Dio! ch’io son pur vano e stolto,
presumendo narrar con basso stile
qual dono in quel poggetto era sepolto:
don d’ogni grazia pieno, don gentile,
35dono ab aeterno destinato in cielo,
dono al cui pregio è lieve ogni altro e vile!
Escevi una donzella in bianco velo,
con guisa tal, che candidetta rosa
nel primo albore appar su verde stelo.
40Semplice, bella, onesta e vergognosa
va su leggiadri passi, e ove l’imprime
scuopre novelli fior la spiaggia erbosa.
L’alloro, il mirto e oliva e la sublime
abete e palma e l’odorato cetro
45per farle onor piegaron le lor cime.
Novelle fonti con lor chiaro vetro
spiccian di vivi marmi, e a lei gli augelli
di ramo in ramo van cantando dietro.
Damme fugaci e caprioli snelli,
50timide lepri sbucano e conigli,
per lei mirar, da’ fidi lor ostelli.
Un’acre cerva e duoi gemelli figli,
delizie care sue, le vanno a’ fianchi
con lor monili d’amaranti e gigli.
55Chi dice: — EH’è Innocenzia in panni bianchi. —
Chi : — No, ma Fede, a tal colore avvezza. —
Chi: —Lei, dal cui Figliuol saremo franchi.—
Io, che degli altri men n’avea certezza,
lo chieggio al mio Palermo. Ed ei : — Congiunta
60fia — disse — col Messia tanta bellezza.
Ecco, l’etá del fango è giá consunta:
quella dell’ór celeste fuor dell’ombre
con la Sposa di Cristo insieme spunta.
Decreto sta, che per costei si sgombre
65d’error il mondo ed entrivi quel vero,
ch’ulla calighi piú non oltre adombre.