Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/200

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ioo Non so, Teofil mio, se pago t’hanno
cotesti miei ragionamenti appieno:
son io di quei, c’han poco e manco sanno.
Bastiti assai del vero il chiar sereno
esserti cónto, di mie nebbie fuora,
105e forse d’alto stil ne avresti meno. —
Cosi Gioseppe in una e piú d’un’ora
mi tenne a udir del nato Sol eterno
e della scorta sua fedel aurora.
Io resi grazie al senso in lui paterno,
no ché sazio d’un tal cibo m’ebbe fatto,
qual nutre il ciel, qual tosca il tristo inferno.
Poi similmente a lui narrai quell’atto
veduto fra’ pastori si distinto,
che gli parve trovarsi dentro il fatto.
115Cosi quel primo giorno a noi succinto
dell’anno andò, ma con maggior profitto
che in mille fole allor trovarsi estinto.
Lode al Signor, che, tratti noi d’Egitto,
col fumo il di, la notte con la fiamma
120scorge del Rosso mar per lo tragitto!
Fra tanto il sol calava e picciol dramma
di luce ancor porgea. Madonna il Figlio
riporta dentro e tienlosi a mamma.
Io pronto l’ésca ed il focile piglio,
125e, scossavi di selce una favilla,
il zolfo accendo e a secche foglie impiglio.
Qui servo alcun non è, qui non ancilla;
fo quanto saccio, e piú saper desio.
Dissi mia colpa e non mancò chi udilla.
130Composto il fuoco, alla cittá m’invio.
Non lieve borsa m’era; compro alcune
cosette in cibo a quel senato mio.
Da me fúr posti sull’ardenti prune
minuti pesci, e, giunta l’acqua, il pane,
135tre ci aggirammo alle beate cune.