Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/213

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Or poscia che le mense fúr levate
e i magi al re donáro alcuni pardi,
venne un uscier, che disse loro: — Entrate! —
70Entrano pettoruti a passi tardi,
con toghe lunghe, mille inchiappi e bende,
parendo lor che il mondo fiso ’i guardi.
Di queste e d’altre cerimonie prende
quel sovraciglio lor, quella lor gloria,
75quel«tienti buon», che Dio sol buono offende.
Oh vani lor, che son fuor di memoria,
se non in ciò, ch’ognun beffarli gode,
mentre ventosi scoppiano di boria!
E, pur soggetti ad un villano Erode
80send’essi e degni star nel regio scanno,
timida rabbia gli ange dentro e rode.
Quei re vecchioni appariscenti, c’ hanno
gran tempo fa negli animi concetto
che pur gli ebrei sian quelli il tutto sanno,
85voglion mostrar il debito rispetto,
ponendo man all’onorande chiome;
ma noi sofferse Erode in lor dispetto.
Ei sa per lungo esperimento come
in quei sovente, c’hanno grido e suono,
90l’effetto poi non corrisponde al nome.
Altro ci vuol che dir: — Prelato sono! —
chi l’uso vuol serbar dei santi vecchi,
ch’or a fatica n’hai di mille un buono.
Aman d’esser nomati e d’esser specchi;
95d’occhi malsani e ventri son forniti,
per non dir d’altro, di pagliuzze e stecchi.
E pur han cura che ciascun gli additi
lungo alle piazze ed ove sia gran calca
per satrapi di conto e in senno arditi.
100Però non poco scema e si diffalca
la fama alla presenzia d’un che, basso
e vile, or per le gran cittá cavalca;